Qualche giorno fa, nel mezzo di una conversazione, è uscita fuori questa frase: “Gli psicologi non servono a niente, se uno ha dei problemi dovrebbe risolverseli da solo”.
La cosa mi ha fatto sorridere, perchè mi sono immaginato questa stessa persona che risolve da sola ogni cosa, senza mai chiedere aiuto a nessuno. Perchè andare da un meccanico, quando puoi leggere dei libri ed imparare ad aggiustare il motore della tua auto? Perchè chiamare un idraulico, quando puoi tranquillamente riparare da solo le tubature?
Secondo questo modo di pensare non dovrebbe esistere alcun mestiere, perchè chiunque potenzialmente è in grado di fare ogni cosa.
Personalmente a me tranquillizza l’idea che esistano esperti in grado di occuparsi di ciò che io non sono in grado di fare, facendomi risparmiare tempo ed energie. Sarebbe una vita troppo complicata se ogni volta che mi si presenta un problema, dovessi contare solo ed esclusivamente su me stesso.
La realtà è che esiste una grande disinformazione su ciò che fa uno psicologo, oltre a pregiudizi e paure che impediscono di chiedere aiuto in caso di bisogno.
Chiedere aiuto non è una forma di debolezza
I motivi per rivolgersi ad uno psicologo possono essere migliaia, e nessuno è più importante di altri.
Quando qualcosa mi impedisce di condurre una vita serena, di sentirmi bene con me stesso, poco importa se il problema è banale agli occhi di altri: ciò che conta è che per me, in quel momento, rappresenta uno scoglio immenso.
Perchè esisterà sempre qualcuno in grado di risolvere da solo il problema che a me appare così complicato. Esisterà sempre qualcuno che saprà farsi scivolare addosso ciò che a me schiaccerà. Ed esisterà sempre qualcuno che vedrà come futile ciò che io vedo come un dramma.
Ma il problema vero è che questo modo di pensare impedirà sempre a tante persone di chiedere aiuto, quando invece ne avrebbero più bisogno. E’ il mettersi a paragone con gli altri, il vero errore, la paura di essere considerati deboli, la paura di guardarsi allo specchio e vedersi dei falliti.
Ma perchè quando abbiamo un’influenza non ci vergogniamo ad andare dal medico per farci prescrivere dei farmaci? Perchè se il problema non è di tipo fisico, ci facciamo così tanti problemi a chiedere aiuto?
Il problema sta nel significato che diamo alla prestazione fornita da un professionista. Tutti sappiamo cosa fa un meccanico, un idraulico o un medico. Sappiamo quello che ci vende, e perchè lo paghiamo.
Ma uno psicologo, cosa fa? A cosa serve?
Dallo psicologo non si va solo per sfogarsi
L’idea più diffusa è che da uno psicologo si vada per sfogarsi, ci si sieda nel suo studio, per raccontare cosa ci affligge, mentre questo ascolta impassibile aggiungendo poco al nostro monologo. E così ogni volta.
Ma la realtà è molto diversa. E’ raro infatti che uno psicologo stia in silenzio. Al contrario uno psicologo è un “animale” dotato di parola, che interviene quando è necessario, aiutando il paziente a focalizzarsi sugli aspetti importanti, guidandolo a guardare le cose da altri punti di vista, utilizzando tecniche assenti in una normale conversazione con un amico, o in una semplice confessione.
Quando un paziente entra nel mio studio, come prima cosa mi racconta cosa sta accadendo, il motivo per cui sente di aver bisogno di aiuto, e qual è l’obiettivo che vorrebbe raggiungere. Dopodichè comincia il lavoro vero e proprio, che utilizza il dialogo, la conversazione, la parola come strumento principale. Ma non necessariamente. All’interno di una seduta possono essere utilizzate molte altre tecniche che permettono al soggetto di esplorare ciò che avviene dentro di sè, per comprendere, accettare, risolvere quello che sta vivendo. E ogni seduta, può essere legata a quella successiva, come anche totalmente slegata. Ed ogni seduta, assieme alle altre, forma un continuum, in grado di spingere il paziente a risolvere i problemi che lo hanno fatto giungere in terapia, spesso aprendo nuovi orizzonti. Non è raro infatti che il problema portato sia solo la punta di un iceberg, e che lavorare su questo spalanchi tutt’altro scenario. Uno scenario in cui c’è la vita intera del soggetto, dalle prime esperienze, fino al momento attuale.
Alla fine del percorso, il soggetto non si è limitato a parlare, sfogandosi e trovando un sostegno. Ma al contrario ha lavorato su di sè, sulle proprie problematiche, scavando fino alle radici, scoprendo nuovi aspetti di sè, dando un significato a problematiche che un semplice sfogo non avrebbe permesso.
Magari semplicemente imparando a non ripetere certi comportamenti ricorrenti, comprendendo il perchè di certi schemi, cosa si nascondeva sotto. Arrivando ad accettarsi, e ad accettare parti del nostro passato che, senza che neppure ce ne rendessimo conto, avevano una pesante influenza su quello che facevamo.
Sfogarsi serve a sentirsi meglio, a liberarsi di un peso. Ma non serve a risolvere il problema.
Da uno psicologo non ci si sfoga, per un benessere immediato e passeggero, da uno psicologo si lavora su se stessi, magari per un benessere più tardivo, ma sicuramente a lungo termine.
E a questo punto mi viene da chiedermi: forse il tempo potrebbe aiutare da solo a risolvere i problemi. Forse col tempo le cose si potrebbero aggiustarsi da sole. Forse col tempo l’individuo potrebbe trovare il modo per risolvere da solo i propri problemi.
Ma se questo non avviene?
Se invece i problemi continuano a ripresentarsi ciclicamente, con la stessa faccia, portandoci lo stesso carico di dolore ogni volta? Se invece di placarsi, il dolore continua a restare una costante della nostra vita? Se le stesse problematiche continuano ad essere un sottofondo che non scompare mai? Conviene a questo punto aspettare ancora? Intestardirsi a voler risolvere tutto da soli, col rischio che un giorno, di punto in bianco, le cose possano precipitare, senza che noi minimamente ce lo aspettassimo?
Ha senso aspettare che il cigolio che avvertiamo ogni giorno si trasformi in un frastuono, fino a vedere un giorno la nostra macchina fermarsi in panne ai bordi di una strada isolata di campagna? Non conviene forse prendere le cose per tempo, e portare la nostra autovettura alla più vicina autofficina, alla prima avvisaglia di malfunzionamento?